Il mobbing «una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori» (Ege, 1997, p. 31). Il requisito temporale nella definizione di mobbing è fondamentale. Le violenze psicologiche devono essere regolari, sistematiche, frequenti e durare da almeno sei mesi (Ascenzi e Bergagio, 2000). L’obiettivo è sempre distruttivo e mirato ad eliminare una persona diventata “scomoda”, inducendola alle dimissioni volontarie o provocandone un motivato licenziamento.
La vittima viene emarginata, calunniata, criticata, spostata da un ufficio all’altro e spesso le vengono affidati compiti dequalificanti. Questa situazione, nel tempo, porta delle conseguenze negative a livello di equilibrio psico-fisico.
Lo stress causato dal mobbing crea un forte stato confusionale che disorienta la percezione delle vittime. Nello specifico, viene esagerata l’importanza del lavoro, ridotta la motivazione ad agire e aumenta l’incertezza per l’imprevedibilità del futuro.

Il mobbing verticale e orizzontale

Il mobbing può essere orizzontale, fra colleghi pari grado, o verticale, fra colleghi di grado diverso. Una forma particolare di mobbing verticale è il ‘bossing’. Quest’ultimo si presenta quando l’azienda stessa mette in atto delle strategie persecutorie ed umiliazioni, volte a costringere alcuni dipendenti a dimettersi. La vittima si sente paralizzata, impotente, senza possibilità di difesa e subisce uno stato di incertezza molto forte e di continua allerta. Il rischio di perdere il posto di lavoro fa crescere lo stress e la demotivazione.

Le fasi del mobbing

Il mobbing non è un evento stabile che ci si trova a vivere da un momento all’altro. Il processo è articolato e subdolo e spesso ha un’incubazione molto lunga.
Leymann è riuscito ad elaborare un modello che suddivide il processo di mobbing in fasi:

  • Fase I: il conflitto nasce normalmente in tutti i posti di lavoro a causa di scontri caratteriali, opinioni, invidia o competizione. Tale conflitto, in questa fase, è latente e non viene ancora esplicitato da nessuna azione o frase. Esso diviene mobbing solo se non viene risolto e se diviene continuativo per almeno sei mesi.
  • Fase II: inizia il mobbing vero e proprio e il terrore psicologico. Il conflitto quotidiano diviene continuativo. Il mobber agisce in modo sistematico ed intenzionale, con strategie persecutorie, ed il soggetto mobbizzato subisce.
  • Fase III: il mobbing diventa di dominio pubblico. La vittima comincia ad accusare problemi di salute e si assenta ripetutamente dal lavoro per malattia. Inoltre, manifesta un calo di performance così da motivare indagini da parte dell’Ufficio Risorse Umane. A questo punto, l’azienda può decidere di eliminare la risorsa anche attraverso azioni non sempre legali, con l’obiettivo di portarlo alle dimissioni spontanee.
  • Fase IV: la vittima viene esclusa dal mondo del lavoro, o per licenziamento o per dimissioni.

Le azioni mobbizzanti

Le azioni di violenza psicologica sul posto di lavoro possono essere:

palesi e violente: aggressioni verbali e fisiche, urla, commenti inopportuni alla sfera sessuale e privata;
sottili e silenziose: isolamento ed esclusione dal gruppo;
disciplinari: lettere di richiamo ingiustificato;
logistiche: trasferimento in sedi scomode;
mansionali: si affidano alla vittima compiti al di sotto delle sue competenze oppure non viene più coinvolta in attività che riguardano il suo ruolo e/o la sua mansione;
paradossali: si affidano compiti superiori alle sue capacità.

Leymann ha individuato una serie di 15 azioni che possono aiutare a capire se il soggetto è vittima di mobbing:

1. improvvisamente spariscono o si rompono, senza che vengano sostituiti, strumenti di lavoro come telefoni, computer, ecc.;
2. si fanno più frequenti conflitti con i colleghi;
3. la vittima viene messa vicino ad un accanito fumatore pur sapendo che odia il fumo;
4. quando entra in una stanza la conversazione di colpo s’interrompe;
5. viene tagliata fuori da notizie e comunicazioni importanti per il lavoro;
6. girano pettegolezzi infondati sul suo conto;
7. le affidano da un giorno all’altro incarichi inferiori alle sue competenze;
8. si sente sorvegliata nei minimi dettagli: orari di entrata e d’uscita, telefonate, tempo passato alla fotocopiatrice o alla macchinetta del caffè;
9. viene rimproverata eccessivamente per delle piccolezze;
10. non viene data alcuna risposta alle sue richieste verbali o scritte;
11. superiori o colleghi la provocano per indurla a reagire in modo incontrollato;
12. viene esclusa dalle feste aziendali o da altre attività sociali;
13. viene presa in giro per l’aspetto fisico o per l’abbigliamento;
14. tutte le sue proposte di lavoro vengono rifiutate;
15. viene retribuita meno di altri che hanno incarichi inferiori.

In definitiva, possiamo aggiungere alla lista, tutti quei comportamenti che colpiscono l’individuo nella sua dignità personale, morale e professionale.

Strumento di indagine

Come strumento di indagine per lo studio del mobbing, possiamo citare il questionario LIPT (Leymann Inventory of Psychological Terrorism), messo a punto da Leymann negli anni ’80. Il questionario si divide in cinque parti che analizzano diverse dimensioni della persona e categorizzano cinque diverse tipologie di azioni mobbizzanti:

1. attacchi alla possibilità di comunicare;
2. isolamento sociale;
3. attacchi all’immagine sociale;
4. Sabotaggi professionale e privati;
5. Mettere in situazioni che mettono a rischio la salute.

I gravi effetti del mobbing

Il mobbing provoca molti danni rilevanti alla vittima ma anche all’azienda. La prima, presenta il maggior numero di problematiche, di tipo psichico, sociale, medico ed anche economico. I danni sono talmente gravi che si parla di malattie specifiche da mobbing. La lunga serie di disturbi, somatizzazioni e malattie varie, spesso diventano cronici ed irreversibili. Gli effetti negativi del mobbing sul sistema psichico e nervoso della vittima non cessano con il venir meno dei comportamenti aggressivi, ma permangono per un periodo compreso mediamente tra i 12 e i 18 mesi.
Da un punto di vista fisico, si possono presentare malattie psicosomatiche, attacchi di panico e stati d’ansia, problemi di concentrazione, mal di testa, giramenti di capo, riduzione della capacità mnemonica e depressione.
Non sono rare, inoltre, possibili crisi familiari e relazionali dovuti allo stress oppure alla depressione. Nei casi più gravi la vittima, non trovando altra via d’uscita ai suoi problemi, medita il suicidio o, all’opposto, l’omicidio.

Gli effetti del mobbing causano danni, in termini di costi, anche alle aziende. La situazione provoca un’inutile dispersione di risorse e porta una riduzione della capacità produttiva e dell’efficienza. L’immagine dell’azienda ne risente e i costi aziendali lievitano a causa del tasso di assenteismo per malattia e dei sabotaggi del mobber.
Un lavoratore sottoposto a violenze psicologiche sul posto di lavoro ha un tasso di produttività ed efficienza inferiore del 60%.

Come affrontare il mobbing

La formazione costituisce la strada privilegiata per risolvere o limitare il problema del mobbing. La corretta informazione e la prevenzione danno origine a efficaci strategie risolutive. Si può operare a vari livelli: a livello aziendale, con specifiche modalità formative di gestione del conflitto e del mobbing. A livello professionale, invece, ci si rivolge a interventi effettuati da professionisti specifici quali medici, psicologi e avvocati. Infine, risulta molto efficace la formazione ai dipendenti, mirata a rinsaldare i principi dell’autostima. E’ fondamentale essere informati sul problema e acquisire una nuova cultura del lavoro, spesso diversa o addirittura opposta a quella a cui siamo abituati.
Il mobbing va di paro passo con la variabile tempo, pertanto diventa indispensabile riconoscere il problema il prima possibile, per poter intervenire con strategie mirate e tempestive. Ogni situazione di mobbing è unica nel suo genere, ma esistono delle regole generali di intervento.
Una prima regola consiste nel de-emozionare il conflitto, in modo da affrontarlo con lucidità e sangue freddo. La reazione immediata è quella più emotiva ed istintiva, magari la più sbagliata, poiché si rischia di fare il gioco dell’aggressore. Se il medico riscontra una situazione di ansia, stress o depressione è consigliabile assentarsi dal lavoro per recuperare le energie. Non bisogna sentirsi in colpa per mettere al primo posto la nostra salute. Il mobber solitamente attacca in assenza di testimoni perché sa che ciò che fa non è lecito. Per questo motivo è buon consiglio mettere per iscritto tutto ciò che succede, raccogliendo la documentazione delle vessazioni subite.
Non bisogna isolarsi ma continuare a coltivare le relazioni sociali, frequentare gli amici, rinsaldare i rapporti familiari.
Spesso quando si viene mobbizzati ci si dimentica che la prima forma di supporto per affrontare tutto quello che ci sta succedendo viene proprio dai nostri cari. Non bisogna mai perdere di vista la realtà e ricordarci che la parte più importante della nostra vita inizia quando usciamo dal lavoro.

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